Entriamo nel porto di Genova che è ancora notte. La barca scivola sull’acqua lentamente, in un silenzio irreale. La città sembra avvolgerci come in un abbraccio. Genova e il suo porto, tra i principali punti d’imbarco dei milioni d’italiani emigrati in gran parte in America. Genova, in cui la lotta al fascismo fu viva già nel biennio rosso (1919-1920), ancora prima della marcia su Roma e dell’affermarsi del regime di Benito Mussolini. Genova, dove nell’estate del 2001 fu scritta una delle pagine più buie della storia italiana del secondo dopoguerra, con una città blindata dalle forze dell’ordine chiamate a soffocare la democratica protesta contro i rappresentanti del capitalismo globalizzato.
Nei giorni precedenti il G8 di Genova del 2001 era nell’aria che sarebbe accaduto qualcosa di tragico. Esponenti del governo e responsabili dell’ordine pubblico attuarono una campagna mediatica terroristica nei confronti del composito movimento di protesta che stava organizzando la prevista manifestazione nazionale. La tensione fu alimentata da ripetute dichiarazioni allarmistiche e dalla scelta di blindare un’ampia zona della città, dove si sarebbe svolto il G8, la cosiddetta “zona rossa”.
Migliaia di celerini furono dirottati sul capoluogo ligure, insieme a carabinieri e guardia di finanza. Sappiamo tutti cosa accadde nel corso della manifestazione e, successivamente, alla scuola Diaz e alla caserma Bolzaneto: l’uccisione di Carlo, colpito da un carabiniere dall’interno di un Defender con un colpo dritto alla testa; i numerosi feriti a seguito delle ripetute cariche nel corso della manifestazione e la macelleria messicana attuata alla scuola Diaz, con le molotov portate all’interno dell’edificio dai poliziotti per giustificare l’irruzione; ragazze e ragazzi brutalmente torturati e terrorizzati nella caserma Bolzaneto da chi avrebbe dovuto garantire lo svolgimento democratico della protesta.
Recentemente, la Corte europea dei diritti dell’uomo ha condannato l’Italia per i fatti di Genova, asserendo che a Bolzaneto si registrò una grave violazione dei diritti umani e una sospensione dello stato di diritto.
In questa notte silenziosa, mentre ormeggiamo la nostra barca Utopia nel cuore del porto di Genova, mentre tutto sembra come sospeso, non possiamo fare a meno di ripensare a quei giorni e ci accorgiamo che quello che è appena iniziato è il 12 dicembre del 2017, la quarantottesima ricorrenza dell’avvio di una lunga stagione di stragi fasciste, cominciata con la bomba alla Banca Nazionale dell’Agricoltura a Milano.
C’è un filo nero che lega la strage del 1969 alla brutale repressione messa in atto nei giorni del G8 di Genova. Nonostante la Costituzione vieti la ricostituzione del disciolto partito fascista e la Legge n. 645/1952 sanzioni chi persegua finalità antidemocratiche proprie del partito fascista o denigri la democrazia, le sue istituzioni e i valori della Resistenza, il fascismo ha continuato ad essere tollerato ed alimentato ed ancora oggi i fascisti scorazzano liberamente per il Paese, rappresentando un serio pericolo perché il sistema democratico è in una fase di estrema debolezza e il contesto politico e sociale è tale che revanscismo, razzismo e omofobia tornano ad essere il tratto distintivo di una sottocultura che fa breccia tra una parte di popolazione che risponde alla crisi economica e di ideali chiudendosi in se stessa, esorcizzando lo stato di malessere con la paura del diverso, del migrante, di chi professa una religione che non sia quella cattolica.
“Prima gli italiani” è diventato lo slogan che sintetizza un programma politico rozzo e sbagliato. Fa un effetto strano pensare a quello slogan idiota da qui, da questa città, da questo porto dove sono ancora vive le storie dei tanti migranti italiani partiti in cerca di una sorte migliore. La memoria e la consapevolezza devono continuare ad essere nostre buone compagne di viaggio.